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Uno sdoppiamento tra politica ed economia per la nuova Europa

Il nuovo libro del Professor Fabbrini propone un modello alternativo di Unione

Sergio Fabbrini LUISS

A pochi giorni dall'anniversario per i 60 anni dei Trattati di Roma, Laterza pubblica il nuovo libro del Professor Sergio Fabbrini, docente di Scienza politica e Direttore della LUISS School of Government. Intitolato Sdoppiamento: una prospettiva nuova per l'Europa, il saggio propone una riformulazione del progetto dell'Unione, più piccolo ma più forte politicamente.

"I Trattati di Roma furono sottoscritti il 25 marzo 1957" spiega il Professor Fabbrini. "L'Unione Europea è stata un grande successo: ha portato la pace, stabilità e sviluppo economico in un continente che è passato attraverso guerre drammatiche e disastrose, crisi democratiche e iniquità sociali. Nonostante questi successi storici, l'UE è entrata negli ultimi anni in una condizione di stallo, se non addirittura di implosione. Con Brexit, dopo 60 anni di integrazione, si è cominciato a discutere di disintegrazione. Perché? La mia risposta è perché si è cercato di tenere dentro un unico modello di integrazione paesi che hanno continuato ad avere prospettive diverse su quest'ultima. La difficoltà a fare i conti con le crisi che si sono succedute dopo il 2008 ha incentivato l'ascesa dei movimenti anti-europei. Il risultato è stato quello di mettere in discussione la narrativa di una UE costituita di stati che condividono lo stesso fine, mentre in realtà quegli stati hanno continuato a perseguire fini diversi. Più che Europa a diversa velocità, ciò che è emerso è un'Europa a diverse finalità".

Sdoppiamento Fabbrini LUISSOltre a ricostruire le ragioni che hanno portato al successo ma anche alla crisi dell'UE, il contributo del libro è formulare una proposta per uscire dalla crisi. Questa proposta è basata sull’idea dell'unione federale. "All'interno dell'UE, la distinzione tra chi vuole solo il mercato unico e chi condivide una moneta unica o programmi integrativi avanzati non è facilmente ricomponibile attraverso i Trattati che celebriamo in questi giorni. Occorre pensare a una riforma istituzionale che dia sbocco a questo pluralismo: un mercato comune condiviso da tutti i 27 paesi (e possibilmente da altri come Norvegia e Svizzera, oltre a un possibile rientro della Gran Bretagna) e un'unione federale tra i paesi dell'Eurozona. Un'unione federale che deve partire da una premessa fondamentale: stabilire le (limitate) politiche che debbono essere gestite dall'unione, con le sue risorse e le sue autorità, lasciando il resto delle politiche alle democrazie nazionali".

Secondo il Direttore della SoG, il modello dell'unione federale è l'esatto contrario di quanto avvenuto in questi anni: "Abbiamo assistito a un progressivo svuotamento delle democrazie nazionali a cui non è corrisposto un rafforzamento della democrazia sovranazionale. Anzi. Si pensi all'Eurozona. Si è creato un sistema regolativo altamente centralizzato ma privo di legittimazione democratica. Quasi che l'UE o l'Eurozona fossero come il NAFTA o di WTO: organizzazioni internazionali gestite da esperti che decidono le politiche in relazione all'efficienza del risultato che si vuole raggiungere. L'UE non può limitarsi a questo, anche perché rischia di creare un contesto di divisioni e di tensioni costanti con i cittadini europei che rischia davvero di implodere".

La formula per uscire da questo stallo è riassunta nel titolo del volume: Sdoppiamento. "Di fronte alla retorica della differenziazione, di un'Europa à la carte e a geometrie variabili, lo sdoppiamento pone un obiettivo molto diverso rispetto alla formula ambigua della Europa a diverse velocità di cui parla Angela Merkel. Il decoupling, cioè lo sdoppiamento tra un'area di mercato e un'area più piccola ma più coesa (perché basata su un patto politico) consente di costruire due distinte organizzazioni con finalità diverse. La prima, quella del mercato unico, deve garantire la libera circolazione di persone, beni, capitali e servizi. La seconda, quella della unione federale, deve invece promuovere politiche comuni nei campi della sicurezza, della stabilità monetaria e dell'inclusione sociale, dello sviluppo e delle infrastrutture. Poche politiche ma che non possono prevedere opt-out da parte dei paesi che vi partecipano. Gli stati membri che non aderiscono a questo patto politico fanno parte del mercato unico. Dovrebbe essere un interesse di tutti evitare la paralisi tra chi vuole stare fermo (o andare indietro) e chi ha bisogno e vuole andare avanti. Per questo motivo non avrebbe senso ritornare al metodo della convenzione costituzionale a cui tutti gli stati partecipano, con il solito gioco dei veti e dei ricatti che conosciamo molto bene. Occorre trovare formule più flessibili per dichiarare il proprio impegno a procedere verso l'unione federale".

In un contesto politico complesso e pieno di tensioni come quello attuale, è difficile individuare una figura o un singolo paese che possa guidare un cambiamento di scenario. "Come ci ha insegnato Max Weber, la politica ha bisogno di leader, di quegli individui che hanno la forza di mettere le dita negli ingranaggi della storia, facendoli quindi girare in direzione del cambiamento ragionato. La leadership non consista nel seguire gli stati d'animo, ma nello sfidarli. Di fronte alle tendenze antieuropeiste, bisogna avere di coraggio di ridare forza al progetto di integrazione, rinnovandolo e non solo celebrandolo. Bisogna avere il coraggio di aprire un confronto aperto con chi semina sfiducia nei confronti dell'Europa o addirittura ripropone di ritornare ai confini nazionalisti del passato. Che tante tragedie hanno prodotto nel nostro continente".

Una delle strade per perseguire questo obiettivo è parte anche della storia e del pensiero politici del nostro Paese. Per questo il Professore dedica il capitolo conclusivo del suo libro all'esperienza del Manifesto di Ventotene. "Ripartire da Ventotene significa avere il coraggio e la forza di ripensare strategicamente l'Europa in un momento di grande difficoltà. Significa uscire da questo corto circuito, dallo sguardo piccolo e stretto delle nostre vicende quotidiane per recuperare quella prospettiva ampia che ha dato vita al Manifesto del 1941, quando delle persone messe in prigionia sono riuscite a immaginare quale poteva essere il futuro dell'Europa. L'Italia ha fatto partire il processo di integrazione e oggi ha il dovere intellettuale di rilanciarlo. Per dirla seccamente, se la Germania ha la forza economica e la Francia la forza politica, l'Italia non può rinunciare alla propria forza culturale e ideale".