Mercoledì 24 febbraio 2016 il Professor Sergio Fabbrini, Direttore della LUISS School of Government, è stato ospite al Parlamento Europeo per presentare le ricerche sull'Unione Europea raccolte nei due libri Which European Union? Europe After the Euro Crisis (Cambridge University Press, 2015) e Compound Democracies: Why the United States and Europe Are Becoming Similar (Oxford University Press, 2010).
Invitato dal Segretario Generale del Parlamento Klaus Welle, il Professore di Scienza politica è stato protagonista di un dibattito sulle istituzioni comunitarie per proporre un punto di vista alternativo sul progetto dell'Unione Europea. "L'argomento centrale dei due libri riguarda il tema dell'aggregazione tra stati" spiega il Professor Fabbrini. "L'Europa dovrebbe guardare alla storia degli Stati Uniti e a un modello di unione federale molto diverso da quello predominante in Europa, cioè lo stato federale. Nel dibattito politico è diventato predominante il modello tedesco che è un esempio tipico di federalismo statale centralizzato anche se bilanciato dalla rappresentanza dei governi dei Laender direttamente nel centro federale (attraverso il Bundesrat). Questo modello, a mio avviso, non può funzionare nell'Unione Europea, dove vi sono profonde differenze demografiche e nazionali tra gli stati membri. L'UE o l'Eurozona dovrebbero adottare un modello originale di unione, non di stato federale basato su una separazione tra il centro e gli stati membri, oltre che tra le istituzioni del centro, così da prevenire o ostacolare tendenze alla centralizzazione".
La critica del Professore al modello statale si basa sull'analisi comparativa dei sistemi federali. L'esperienza europea dovrebbe guardare di più agli Stati Uniti o alla Svizzera, i due casi empirici di federalismo per aggregazione, piuttosto che a esperienze come quella dell'Austria, del Belgio, del Canada, dell'Australia oltre che della Germania, casi empirici di federalismo per disaggregazione. "Il modello alternativo che propongo è quello della democrazia composita, su cui sono utili ancora oggi le riflessioni metodologiche di James Madison: una democrazia basata su un sistema di separazione dei poteri, che prevede delle competenze chiare a livello nazionale (self-government) e altre competenze condivise a livello sovranazionale-europeo (shared-government). Il modello di separazione dei poteri prevede un sistema di check and balance fra un'istituzione che rappresenta i cittadini (in questo caso, il Parlamento Europeo) e un'istituzione che rappresenta i governi (il Consiglio Europeo), con la Commissione che assolve una funzione preminentemente amministrativa. In modi diversi è ciò che avviene a Berna o a Washington D.C., dove dal confronto tra esecutivo e legislativo (fra loro indipendenti) si creano le mediazioni necessarie per governare il Paese. Certo, questo sistema ha i suoi difetti: ad esempio con una polarizzazione partitica tende a produrre lo stalemate, uno stallo decisionale. Ma quali alternative abbiamo? Qualsiasi forma di separazione dei poteri richiede una disponibilità al compromesso da parte degli attori politici".
Il modello storico delle grandi democrazie europee, che a livello nazionale hanno trasferito al Parlamento i poteri del Re (secondo il principio The King into the Parliament) non si può applicare in un'Europa di stati asimmetrici, divisa da tanti interessi nazionali. "Se c'è un punto di vista normativo che tendo ad assumere è che un'unione di stati deve essere un'unione tra uguali. La cosa che più mi ha colpito negli studi che ho condotto è come la Virginia (ovvero l'equivalente della Germania negli Stati Uniti del XVIII secolo) decise di ridurre il suo potere per poter creare un'unione tra stati tendenzialmente uguali. Ad esempio, accettò che i rappresentanti di ogni stato nel Congresso fossero due a prescindere dalle loro dimensioni demografiche". Per questo motivo, sostiene il Professore, "nella mia ricerca ho cercato di dare sostanza al progetto avanzato tempo fa da Jacques Delors di fare dell'Unione una Federazione di stati nazionali".
In questo quadro, l'Italia può giocare un ruolo fondamentale e indicare una strategia originale capace di riequilibrare i poteri tra gli stati europei. "La Germania è un grande paese, ha una grande classe dirigente e una cultura democratica molto radicata, molto profonda e capace di ascoltare gli studiosi. L'Italia non sarà mai la Germania o la Francia, però può essere un paese rispettato per le idee originali che promuove. Tutti percepiscono che l'Italia non potrà mai essere un paese egemonico, e per questo motivo le nostre proposte possono essere accettate. Quello che mi aspetto è che emerga una discussione che porti a una proposta strategica, utilizzando il sessantesimo anniversario dei Trattati di Roma del 2017. Dovremmo arrivare alla celebrazione con una proposta di riforma dei Trattati sempre ispirata al principio normativo dell'Unione tra uguali, l'unico che può garantire la pace e la stabilità democratica del continente".
Nel dibattito al Parlamento Europeo troverà spazio anche l'attualità? Secondo il Professore la discussione su Brexit dovrebbe favorire una riflessione più organica e realista sullo stato dell'Unione Europea. "La Gran Bretagna ha ormai deciso di tenere un referendum il prossimo 23 giugno per pure ragioni di politica interna. Nel frattempo occorre avviare una ricerca su come differenziare a livello costituzionale la Comunità economica del mercato unico e l'Unione monetaria, pur mantenendo forti legami tra le due. Bisogna andare, insomma, verso il superamento del Trattato di Lisbona ovvero dell'idea che ci deve essere una taglia unica per Europe diverse".