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Democrazia digitale: una sfida aperta

La Prof. Emiliana De Blasio spiega il suo libro edito da LUISS University Press

De Blasio Story

"Oggi la democrazia rappresentativa scricchiola. La partecipazione politica non si esaurisce più nel voto, ma bisogna cercare nuove forme di intermediazione". È questa la premessa da cui parte Democrazia digitale, l'ultimo libro della Professoressa Emiliana De Blasio, vice-direttrice del Centre for Media and Democratic Innovations alla LUISS, dove insegna Sociologia della comunicazione, e-Government e comunicazione politica e Gender Politics.

Lo studio della democrazia digitale (o e-democracy) è un campo in continua ridefinizione e si intreccia con altri grandi temi come quello della cittadinanza elettronica, della partecipazione online e dell’e-government. Nel libro, edito da LUISS University Press, la Prof. De Blasio fornisce un approccio teorico e individua potenzialità e limiti della democrazia digitale. "Negli ultimi anni, il calo della partecipazione, l'astensionismo elettorale e la crescente insoddisfazione nei confronti delle istituzioni democratiche hanno fatto nascere l'interesse per nuove forme di democrazia partecipativa, deliberativa e digitale. Ma spesso termini come e-government, e-governance, open government e appunto e-democracy vengono sovrapposti: invece la democrazia digitale è un processo assolutamente diverso dal governo elettronico".

L'e-government, spiega De Blasio, coinvolge le funzioni amministrative e di governo di istituzioni e PA, mentre "e-democracy riguarda le possibilità offerte alla cittadinanza per incidere nei processi decisionali. Non è top-down ma orizzontale, e dovrebbe favorire l’adozione di nuove forme di deliberazione e partecipazione. Naturalmente non è scontato che questo accada".

Democrazia digitale

L'espressione open government, invece, fa riferimento a un concetto fluido: è un processo gestionale aperto e trasparente dell’amministrazione pubblica, locale e centrale. "Una realtà molto interessante da questo punto di vista è quella francese: è tutto centralizzato, i modelli partecipativi come Democratie ouverte vengono realizzati grazie a investimenti governativi, e gli ideatori sono per lo più degli accademici". Un altro esempio è quello delle piattaforme promosse dalle istituzioni britanniche come Fix my street: "Chiunque può segnalare un danno, l'amministrazione interviene e l'applicazione mostra anche a che punto sono arrivati i lavori. Così si riavvicinano i cittadini alla gestione della cosa pubblica, e si stimola la partecipazione anche in altri processi".

Qualche esempio c'è anche in Italia, "come i bilanci partecipativi dei Comuni: in momenti di crisi economica la partecipazione è più importante, perché bisogna coinvolgere i cittadini nelle decisioni. Gli Stati Uniti lo fanno da molti anni, e in Europa ci sono diversi tentativi a livello locale".

Ma per mettere in atto politiche e piattaforme digitali bisogna tenere in considerazione rischi e problemi ben precisi: "Prima di tutto è necessaria la trasparenza della pubblica amministrazione, gli atti devono essere digitalizzati e accessibili. E poi c’è il problema degli investimenti: chi sviluppa queste piattaforme? Come avvengono i processi di deliberazione online? Per esempio, il governo americano ha deciso di usare programmi open source per permettere a tutti gli enti locali di organizzarli con facilità secondo le loro esigenze. Il Movimento 5 Stelle invece usa una versione specifica della piattaforma Airesis, creata da attivisti".

Secondo la docente LUISS gli ultimi provvedimenti presi da diversi governi, come la nuova normativa sui cookies, lasciano ben sperare, ma il libro affronta anche fenomeni più controversi legati alla rete come Anonymous, Prism, e WikiLeaks: "Le parti negative della rete spesso sono quelle più affascinanti, ma dobbiamo ragionare sugli aspetti positivi, che sono quelli perfettibili". A questo proposito, De Blasio riprende la distinzione classica degli studi sulla democrazia digitale e distingue gli approcci tra cyber-ottimisti e cyber-pessimisti: "Io non sostengo nessuna delle due posizioni, ma sono possibilista: le basi ci sono, la strada è avviata, basta tenere sempre presenti i rischi e le conseguenze".