“Il nudge è dappertutto, è intorno a noi nella vita di tutti i giorni. Persino al supermercato: mettere in esposizione la frutta vicino alle casse dà una 'spintarella' verso un’alimentazione più sana”.
Il Professor Robert Baldwin insegna Regulation e Criminal Law alla London School of Economics and Political Science e nel corso di un seminario alla LUISS il 31 ottobre 2014 ha presentato il suo ultimo lavoro, in pubblicazione a Novembre 2014 sulla Modern Law Review. Lo studio analizza l’uso del nudge, uno strumento di intervento pubblico che significa “leggera spinta”, o “gomitata”, sempre più utilizzato nella regolazione da governi e imprese di tutto il mondo.
L’idea di nudge è tratta dal libro di Richard Thaler e Cass Sunstein del 2008 (tradotto in Italia come Nudge: la spinta gentile) e comprende le strategie, basate sulle scienze comportamentali, usate per agire sulla cosiddetta “architettura delle scelte” degli individui. Secondo la psicologia economica, infatti, siamo soggetti a una serie di errori, bias (cioè distorsioni cognitive) ed emozioni che non ci consentono di compiere sempre la decisione migliore per il nostro benessere, anche economico. Proprio per questo, spiega il Prof. Baldwin, “è possibile indirizzare le persone verso la decisione più efficiente, senza costringerli, ma semplicemente cambiando la modalità di presentazione della scelta”.
“Queste strategie”, spiega Baldwin, “costituiscono un’alternativa moderna alla regolazione tradizionale. Molti aspetti di queste tecniche sono ancora inesplorati e troppe decisioni a riguardo vengono prese senza la consapevolezza che diversi tipi di nudge producono effetti diversi di natura politica ed etica”. Ricollegandosi allo studio della Professoressa Fabiana Di Porto dell’Università del Salento, presentato durante il seminario, il Prof. Baldwin ha sottolineato l’importanza di “distinguere tra i messaggi di empowerment, che danno un’informazione mirata e selettiva, e quelli molto più controversi e manipolatori, che devono essere usati con più cautela nelle politiche pubbliche”.
A questo proposito, il lavoro del Professor Baldwin distingue tre livelli differenti di nudge, ognuno con diverse caratteristiche ed effetti. Il primo è quello della semplice informazione mirata, come il messaggio “Il fumo fa male” sui pacchetti di sigarette. Il secondo livello implica un’azione da parte del ricevente, come istituire un’area fumatori lontana dal luogo di lavoro, per scoraggiare i più pigri. Il terzo livello punta a scioccare il ricevente per scoraggiare una certa abitudine: è il caso dei cartelloni pubblicitari che mostrano immagini forti degli effetti del fumo.
Un altro aspetto da non trascurare, fa notare Baldwin, è la fonte da cui arriva il nudge: “Siamo costantemente sottoposti a ‘spinte’ da parte del marketing, c’è sempre qualcuno che vuole venderci qualcosa, e le persone ne sono consapevoli. Invece siamo meno portati ad accettare suggerimenti da parte dei governi e delle amministrazioni pubbliche”. Il rischio è che il nudge diventi solo uno tra i tanti strumenti di controllo degli Stati e che venga percepito dai cittadini come una privazione di libertà. Se sottoposti a troppe spinte, soprattutto di quelle che Baldwin definisce di terzo livello, più invasive, il pericolo è che le persone si comportino automaticamente al contrario di quanto viene loro suggerito.
Proprio per l’efficacia dimostrata con gli esperimenti delle amministrazioni Cameron e Obama e in altri paesi come la Danimarca, secondo Baldwin “il nudge è destinato ad avere sempre più successo”, in Europa e anche in Italia. Nel nostro Paese potrebbe essere utile, suggerisce ancora il Professore della LSE, “a risolvere problemi di trasparenza e per sensibilizzare verso scelte importanti in modo più facile e diretto. Mi auguro che il futuro del nudge sia fornire non solo più indicazioni, ma informazioni più equilibrate sulle scelte da compiere, riducendo i costi di transizione che comportano le decisioni più delicate”.