L’Europa tradita. Lezioni dalla moneta unica è il titolo del più recente lavoro del Professor Giuseppe Di Taranto, docente di Storia dell'economia e dell'impresa presso il Dipartimento di Impresa e Management della nostra università. Pubblicato da LUISS University Press, il libro affronta il declino della fiducia nell’Euro e le possibili ricette per garantire un futuro alla moneta unica.
Il tradimento del titolo risale alla creazione della Unione Monetaria Europea (UEM), quando il Trattato di Maastricht del 7 febbraio 1992 alimentò aspettative che si sono poi rivelate false promesse. Ad esempio, sostiene Di Taranto, "secondo gli accordi avremmo dovuto avere uno sviluppo del reddito di circa il 3% annuo, un incremento di due milioni di posti di lavoro e una forte riduzione dei prezzi a vantaggio dei consumatori. Tutto questo non solo non si è avverato, ma a partire dal 2007-2008, cioè dall’inizio della crisi, le condizioni delle famiglie sono notevolmente peggiorate".
Queste aspettative tradite, prosegue il professore "sono state rese possibili da quella che Jacques Sapir chiama la Religione dell’Euro: una sorta di tabù che ha inibito o messo a tacere qualunque critica, anche costruttiva, nei confronti della moneta unica". Le esplosioni dei vari populismi in Europa sono conseguenza proprio di questa negazione, che, secondo Di Taranto, i vari paesi dell’Unione hanno aggravato con politiche dettate da un eccesso di burocrazia e da un deficit di democrazia: "Ad esempio, in Italia non si è mai potuto far esprimere i cittadini sulle politiche economiche europee perché l’Articolo 75 della Costituzione vieta la possibilità di fare referendum sui trattati internazionali. Sotto il Governo Monti abbiamo cambiato la Costituzione per inserire il pareggio di bilancio, ma non è stato fatto niente per modificare l’articolo che avrebbe permesso ai cittadini italiani, come succede nel resto d’Europa, di poter esprimere il proprio parere su temi fondamentali come il Fiscal Compact".
L’Italia adesso ha l’occasione di segnare i primi passi di cambiamento grazie all’imminente semestre europeo. A questo proposito, il professore elenca diverse proposte in coda al libro. Fra queste, un cambiamento immediato dei trattati europei e dello statuto della Banca Centrale Europea, che deve diventare prestatore di ultima istanza: "Nel 1998, quando fu attivata la BCE, un gruppo di premi Nobel sottoscrisse un manifesto contro la disoccupazione in Europa, in cui si denunciava la scelta di limitare le azioni della BCE alla sola lotta all’inflazione. Adesso siamo al 2014, la BCE deve ricorrere ancora oggi a operazioni borderline".
Oltre a questo, è necessario dare una certa flessibilità all’euro, "sia per un problema interno, che riguarda il recupero di competitività dei paesi in deficit commerciale, che per sbloccare le esportazioni verso l’esterno". A cambiare devono essere in sostanza le formule che penalizzano i paesi che hanno speso meno per mancanza di risorse (come Italia, Spagna e Grecia) e avvantaggiano quelli che hanno investito di più, come la Finlandia e la Germania. "Bisogna invertire questa tendenza, altrimenti il gap fra paesi poveri e paesi ricchi dell’UE non diminuirà mai".