Si sente dire spesso che spendere soldi pubblici in infrastrutture sia una passeggiata nell'attuale contesto di tassi d'interesse praticamente a zero. Il costo del debito pubblico aggiuntivo, infatti, sarebbe nullo – o addirittura negativo in alcuni Paesi – e le infrastrutture porterebbero con sé un "duplice dividendo": maggiore domanda oggi e maggiore crescita potenziale domani.
Queste sono le ragioni dietro la forte pressione esercitata sul governo tedesco affinché esso accresca la sua spesa in infrastrutture. Alcune analisi sembrano suggerire che la spesa in infrastrutture possa risolvere tutti i problemi dell'Eurozona. Tuttavia occorre fare attenzione nel valutare l'effettiva e realistica portata di una spesa più consistente in infrastrutture.
Per farsi un'idea di tale ordine di grandezza, il Grafico 1 qui di seguito mostra la spesa del settore pubblico rispetto alla "Formazione lorda di capitale fisso" per tre grandi Paesi dell’Eurozona con un’esperienza di qualche interesse alle spalle: Germania, Spagna e Italia.
Dal Grafico 1 si evince che durante gli anni del boom, fino al 2008, tale spesa è cresciuta in tutti e tre i Paesi, raggiungendo quota 55 miliardi di euro complessivamente. Tuttavia la crisi ha avuto un impatto molto differenziato: in Germania il livello di spesa è continuato a salire fino al 2012, mentre è diminuito gradualmente in Italia e drasticamente in Spagna, dove oggi il livello di spesa è ancora la metà rispetto ai picchi raggiunti nel 2008/09.
Più recentemente – a partire dal 2015 – la spesa è tornata ad accelerare in Germania, aumentando del 50%, da 60 a 90 miliardi di euro (messi a bilancio per il 2020).
Ciò dimostra che il governo tedesco sta quantomeno iniziando ad aumentare la spesa infrastrutturale, a un tasso di circa l'8% annuo. La spesa in infrastrutture, d'altronde, non può essere modificata facilmente ogni anno, considerato che ogni progetto deve essere pianificato, approvato, messo a gara, eccetera. Perciò occorrerebbe prendere in considerazione un arco di tempo più lungo. L'incremento complessivo, negli ultimi cinque anni, ammonta a circa 30 miliardi di euro. Il che vuol dire che Berlino, oggi, spende tanto in più ogni anno. Una somma ancora contenuta rispetto al complesso dell’economia tedesca, visto che parliamo di circa l'1% del Pil nazionale (che è di 3mila miliardi di euro).
L'esperienza spagnola è particolarmente interessante, poiché in questo caso la spesa pubblica ha seguito l'andamento delle fasi di boom e di recessione dell'economia iberica, fasi dettate dal settore immobiliare. In Italia la sequenza boom-recessione è stata meno drastica, ma anche qui la spesa in infrastrutture è scesa dal picco raggiunto nel 2008/09.
I tre Paesi considerati sono molto differenti tra loro, innanzitutto per la rispettiva taglia. Ciò implica che stanziamenti complessivi simili per la voce "infrastrutture" appariranno sotto una luce molto diversa se misurati come quota del totale dell'economia. Il Grafico 2 rappresenta dunque la stessa misurazione standard della spesa infrastrutturale, calcolata stavolta in percentuale rispetto al Pil.
Da questa prospettiva si osserva comunque una "convergenza" fra i tre Paesi, ma stavolta essa è successiva alla crisi. Durante gli anni del boom, il governo spagnolo spendeva quasi il 5% del Pil in infrastrutture, più del doppio di quanto stanziato dalla Germania. Nel caso dell'Italia, la percentuale di spesa prima del 2008 era rimasta sopra il livello tedesco ma sotto il livello spagnolo, dopodiché è caduta anche sotto il livello di Berlino. In Germania l'incremento della quota di spesa pubblica dedicata alle infrastrutture sembra moderato (dal 2,1% al 2,7% del Pil), ma il livello che sarà raggiunto nel 2020 sarà comunque di un terzo superiore rispetto a cinque anni fa.