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Luiss Open: La ricerca del limite perduto o la necessità di espellere il senso del tempo

Le riflessioni del Professore Luiss Romano Ferrari Zumbini sul valore del tempo nella società moderna

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Partiamo dall'ABC, anzi solo da A e B, come ricostruiti dal buon vecchio Aristotele, quel filosofo che faceva sorridere generazioni di scolari con l'ingannevolmente ingenuo "A=A" e  "B=B". Che conteneva, andando oltre l'apparenza, una verità profonda, cioè che "A non = B"; e su tale perno si son costruiti oltre due millenni di storia dell'Occidente.

Il principio di identità e di non contraddizione ha espresso il perno in forza del quale si è distinto ciò che era giusto, da ciò che giusto non era; ciò che era bello, da ciò che bello non era; ciò che era vero, da ciò che vero non era.

Si son fronteggiati continuamente per secoli valori e beni, ma, pur essendo spesso entrambi meritevoli di tutela, nell'inevitabile bilanciamento si è privilegiata una scelta, che escludeva l'altra opzione. Nell'Alto medioevo ad es., si oscillò a seconda delle epoche fra personalità e territorialità del diritto, se cioè privilegiare le minoranze (tollerando l'uso del loro diritto) o imporre invece un unico diritto sul territorio (favorendo i rapporti fra tutti i consociati). La società si muoveva all'interno di un mosaico mutevole nei contenuti, sì, ma costante sul piano del metodo nel fissare dei limiti; limiti, che sono nella natura delle cose.

Generazioni di scolari, prim'ancora di sorridere su Aristotele, rimanevano allibiti davanti alla apparente banalità del presocratico Eraclito, il cui Πάντα ρεί (panta rei, tutto scorre) lambiva e, per taluni, addirittura oltrepassava i confini dell'ovvio. Ma sbagliava chi non coglieva i significati profondi. Anche in questo caso con quelle parole si condensava una verità profonda e proficua: il movimento in natura scaturisce da tensione e contrasti.

Nella contemporaneità più recente sembra, invece, tutto in dissolvenza. Si vorrebbe cancellare ogni limite e negare la naturale dialettica fra forze in istintivo contrasto fra loro: quando ogni gesto atletico, invece, dimostra che in natura vige il contrario, cioè quel contrasto: il lanciatore del giavellotto corre per fermarsi e solo fermandosi conferisce un senso al suo movimento; il tennista necessita sempre, pur correndo, di un perno di rotazione per colpire la palla. O, più banalmente, una porta si può aprire se può far perno su un cardine, che la blocca. Il momento meccanico in fisica indica, appunto, la rotazione su un perno.

Eppure, il perno, il contrasto sembrano esser mentalmente obsoleti. Esiste solo un indistinto A=B, all'interno di una parola suadente che promette molto, ma poco di costruttivo offre in concreto: inclusione. Sembra quasi che il centrifugo sia divenuto sinonimo di negatività, mentre solo il centripeto equivalga a positività. Quando, al contrario, è invece nella forza delle cose che esistano punti di resistenza: sembra prevalere, invece, egemonica la ricerca continua ed ossessiva di linee di compromesso.

L’attività umana è una ricerca continua di verità, di nuove dimensioni, di nuovi valori, ma il diritto naturale della contemporaneità finge di cercare la verità attraverso il superamento di punti di resistenza, bensì adagiandosi su qualsivoglia linea di compromesso, purché ciò eviti ogni disagio, purché ciò non alteri una superficiale comodità dello star bene, mentale e fisico.

Il buon Leibniz attribuiva al diritto e alla teologia un duplex principium (Nova methodus…jurisprudentiae, (§ 4/5), Francofurtum ad Moenum 1667)la ratio (una teologia naturale e una giurisprudenza naturale) e la scriptura (comandamenti positivi, cioè posti dagli esseri umani). Quel proficuo dualismo (fra ciò che è naturale e ciò che è posto dall’essere umano) sembra esser abrogato. Si lascia confluire tutto in un’artificiale ratio del piacere: un mondo facile, inclusivo, senza spigoli e punti di resistenza; un mondo ossessivamente allegro, che tutto digerisce, pur di evitare contrasti e contrapposizioni.

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