Quando i visitatori arrivano per la prima volta nella grande metropoli di Shanghai, dal viale Bund osservano i grattacieli sulla riva opposta del fiume Huangpu e non possono fare a meno di chiedersi come sia possibile, per un Paese comunista considerato dall'Occidente il nemico archetipico per buona parte della Guerra fredda, apparire ora come un qualsiasi altro fiorente centro capitalista globale.
I visitatori vedranno pochi segni, forse nessuno, dai quali desumere che il Partito comunista esercita ancora un monopolio assoluto sul panorama che hanno davanti. Se guardassero con molta, molta attenzione, potrebbero scorgere una rara falce e martello, oppure qualche sporadico slogan affisso sul muro di un edificio pubblico. Anche questi, però, ormai non sembrano più dichiaratamente politici.
Che l'ideologia comunista abbia ancora una sua importanza nella Cina odierna è un concetto difficile da afferrare. Di certo, se un'ideologia esiste deve essere il capitalismo basato perlopiù sul modello occidentale, seppur privo dell’ordine politico lì dominante al quale si accompagna. Eppure, malgrado questo clima vibrante e "mercatizzato" che si percepisce in tutta la Cina, sotto il comando di Xi le idee comuniste hanno fatto ritorno.
C'è molta più attenzione adesso verso i quadri del partito, affinché apprendano i nuovi sviluppi del marxismo-leninismo. La costruzione del partito è diventata una priorità. Le sue scuole, da quella centrale di Pechino (nota per intero con il nome di Scuola di partito del comitato centrale del Partito comunista cinese, o anche come Scuola centrale di partito) a quelle di Pudong a Shanghai, Jinggangshan a Jiangxi, e altrove in tutto il Paese, organizzano programmi molto seguiti per trasmettere i messaggi ideologici più recenti.
Per essere uno Stato liquidato spesso come un Paese che persegue obiettivi difficili e pragmatici, prestando un'adesione soltanto formale ai vecchi tropi marxisti, sembra proprio essere uno sforzo enorme da dedicare a qualcosa che apparentemente ha così scarsa importanza.