Mentre l'immigrazione si globalizza, le politiche che la governano sono sempre più nazionali. Una verità confermata dal recente scontro tra l'Italia e il resto dell'UE sulle sorti degli immigrati salvati dalla nave Aquarius di proprietà della Ong Sos Mediterranée.
Al netto della cronaca, ormai ai più arcinota, è forse utile sottolineare la valenza geopolitica di una querelle che, oltre a dividere e contrapporre buona parte degli Stati europei, ha messo in tutta evidenza le contraddizioni della perseveranza nella gestione nazionale di un fenomeno globale.
Per capire di cosa parliamo, occorre analizzare le due "facce" della vicenda Aquarius: quella degli immigrati e quella dei paesi ospitanti.
I primi sono 629, provenienti da 26 paesi diversi, in maggioranza sudanesi, nigeriani ed eritrei. È presumibile sostenere che si siano affidati, con elevatissimi costi economici e non solo, al sofisticato network della criminalità organizzata internazionale che gestisce in regime di monopolio il traffico illegale di esseri umani dal continente africano a quello europeo.
In particolare, per arrivare dagli Stati d'origine a intraprendere la rotta del Mediterraneo centrale, che dalla Libia porta via mare all'Italia, hanno seguito probabilmente due principali vie di migrazione.