Il 2017 ha datato i 25 anni del Trattato di Maastricht ed i 60 della nascita dell'Unione Europea, a partire dalla istituzione della CEE. La celebrazione del primo è passata pressoché sotto silenzio; l’anniversario della seconda ha, nello spazio di pochi giorni, abbandonato la proposta che era alla base del vertice tenuto a Roma lo scorso marzo in Campidoglio di una Europa a due velocità. È passata, invece, sottotraccia, al recente summit di Goteborg, l'approvazione, pur se non la obbligatorietà, di una Carta dei Diritti Sociali per la tutela dell'occupazione e per più eque condizioni del lavoro, dopo vent'anni di disattesi proclami e quando le politiche di austerità hanno visto aumentare la disoccupazione nella UE ad oltre 15 milioni di unità e peggiorare di molto lo standard of life della classe media.
Ma procediamo con ordine. Nel gennaio del 2017, Roland Berger, uno dei consiglieri dell'ex governo di Angela Merkel, dichiarava che dall'introduzione dell'euro le regole del Trattato di Maastricht erano state violate almeno 165 volte e che sarebbe stato meglio che la Germania fosse uscita dalla moneta unica per salvare l'Unione europea. Solo qualche giorno prima Clemens Fuest, presidente dell'lfo, uno dei centri studi tedeschi più prestigiosi, sosteneva, invece, che sarebbe stato utile per l'Italia, in mancanza di una solida crescita, uscire dalla moneta unica. Mentre si dibattevano questi temi, Juncker, all'atto della celebrazione del Trattato di Maastricht, si limitava a ricordare che lo firmò come esponente dell'allora governo del Lussemburgo e che le sfide che aspettavano l'Europa avrebbero dimostrato se essa sarebbe stata in grado o meno di dare una risposta ai problemi della nostra epoca. Contemporaneamente, proprio la proposta della Commissione europea, da lui presieduta, di aumentare investimenti e consumi soprattutto in Germania e Olanda per far ripartire la crescita dell'Unione monetaria, era stata "congelata" dall'Eurogruppo.
Nessuno ha ricordato le criticità e lo scetticismo che condussero all'approvazione del Trattato. Dei 12 Paesi che lo sottoscrissero, 9 non rispettavano le più importanti regole che esso imponeva: 5 nazioni, infatti, registravano un rapporto debito/Pil superiore al 60% e 4 un rapporto deficit/Pil oltre il 3%, parametri che si sono poi rilevati errati e senza una base teorica se non la cosiddetta austerità espansiva, e che hanno trasformato il principio della sovranità condivisa, espresso dalla Corte di giustizia europea, in sovranità subalterna delle nazioni del Sud Europa rispetto a quelle del Nord. Il tutto, in un clima di scetticismo reso evidente dai risultati dei referendum par l'adesione al Trattato stesso.