Tutti ne parlano ma nessuno la abolisce. Questo è il destino della riforma Fornero delle pensioni. Per quanto invisa a tutte le forze politiche, a cinque anni dalla sua approvazione, nessun Governo è stato in grado di modificare le innovazioni strutturali che ha introdotto nel nostro sistema previdenziale, dall'innalzamento dell'età pensionabile all'abolizione delle pensioni di anzianità.
I diversi provvedimenti che sono intervenuti in materia, infatti, dall'Opzione donna, APE o APE social, se sono stati utili per attenuare per alcune categorie di lavoratori le gravi conseguenze del drastico aumento dell'età pensionabile a 66 anni e 7 mesi, non hanno certo rivoluzionato l'impianto della riforma. E le stesse considerazioni valgono per l'emendamento, appena approvato in Senato, alla Legge di Bilancio 2018 con il quale è stato sterilizzato per i cosiddetti lavori gravosi l'innalzamento dell'età pensionabile a 67 anni, disposto con il decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 289 del 2017.
Come accaduto in occasione dell'Opzione donna e dell'APE, anche in questo caso i rivoluzionari proclami della gran parte delle forze politiche in ordine alla necessità di abolire la riforma Fornero si sono tradotti nell'approvazione di misure che in definitiva si risolvono in deroghe di portata assai limitata all'impianto della riforma.
Ma procediamo con ordine. Il decreto in questione, che ha innalzato a 67 anni l'età pensionabile fissata dalla riforma Fornero in 66 anni e 7 mesi, è stato introdotto in attuazione del principio dell'adeguamento automatico dell’età pensionabile all'aspettativa di vita. Si tratta di un principio fondamentale per assicurare la tenuta del sistema previdenziale, in quanto mette in relazione diretta le prestazioni previdenziali con l'aspettativa di vita, che a ben vedere è stato introdotto nel nostro ordinamento diversi anni prima dell'approvazione della riforma Fornero.
Il suo antecedente è infatti l'art.1 della Legge n. 247 del 24 dicembre 2007 (Riforma Prodi-Damiano), che ha introdotto il criterio di calcolo dei coefficienti di trasformazione del montante contributivo in base alle aspettative di vita, poi ripreso e modificato dal successivo Governo Berlusconi con gli articoli. 22-ter, comma 2 D.l. n. 78 del 2009 (norma Sacconi) e 12 del D.l. n. 78 del 2010, che hanno disposto l'adeguamento automatico dell’età pensionabile alle aspettative di vita nella formulazione finale che è stata ripresa dall’art. 24, comma 13, del D.l. n. n.201 del 2011 della riforma Fornero.
Così, quando l'aspettativa di vita è tornata a crescere di cinque mesi, dopo un anno di stop nel quale la speranza di vita si era ridotta, e il Ministero dell'Economia e delle Finanze ha emanato il decreto di adeguamento dell'età pensionabile, si è aperto un feroce fuoco di fila da parte di tutte le forze politiche, anche quelle che avevano votato la riforma Fornero, che si sono immediatamente dichiarate contrarie all'innalzamento dell'età pensionabile, anche perché nel frattempo si stava aprendo la campagna elettorale.